PNL E FOSFENISMO

PNL

La programmazione neurolinguistica arriva dagli Stati Uniti. Fondata negli anni 70 da John Grinder, professore di linguistica, e da Richard Bandler, studente di matematica, la PNL offre un insieme di modelli che permettono di descrivere l’attività umana e di operare dei cambiamenti durevoli e profondi.

Quello che colpisce è il suo carattere universale: sorta di manuale di istruzioni del cervello, trova applicazione nell’impresa, a scuola, a casa. Molto pragmatica, permette agli sportivi di alto livello di migliorare le proprie prestazioni, ai genitori di educare i propri bambini, all’impresa di formare il proprio personale alla comunicazione, alla negoziazione, all’eccellenza.

L’uomo agisce a partire da una rappresentazione che si fa del mondo e non a partire dalle proprietà oggettive di quest’ultimo: «La cartina non è il territorio».

Questa frase, spesso citata da Alfred Korzybski, si riferisce al fatto che ciascuno si costruisce una rappresentazione soggettiva del mondo che egli considera la realtà.

In effetti, i nostri cinque sensi possono immagazzinare milioni di informazioni per volta, mentre consciamente non ne possiamo elaborare più di 7 nello stesso tempo. Per compensare, il cervello filtra i messaggi sensoriali: li elimina, li deforma, oppure opera una generalizzazione, in funzione della lingua che si parla, dei ricordi che si hanno, delle credenze, dei valori che si sono adottati.
Ora, questa rappresentazione interna che ci facciamo in un certo momento è responsabile di cambiamenti fisiologici che hanno un’incidenza sul nostro comportamento. I modelli proposti dalla PNL ci permettono di prenderne coscienza, di modificare le nostre rappresentazioni e le risposte che queste mettono in moto. Ci rendono anche più comprensibili le rappresentazioni degli altri.
Il concetto chiave della PNL è la modellizzazione. Grazie ad essa è possibile installare un nuovo comportamento, nello stesso modo in cui si installa un nuovo programma sul computer.

La PNL è d’altra parte nata dalla modellizzazione di terapeuti fuori dal comune, come Milton Erickson. Bandler e Grinder hanno osservato le sue pratiche; ne hanno estratto i principi essenziali, poi hanno costruito un modello che permetteva di riprodurre efficacemente i comportamenti osservati.

Nel campo dell’apprendimento, è sufficiente osservare le strategie adottate dagli allievi brillanti e farne un modello.

E’ così che, ad esempio, gli allievi che non hanno problemi di ortografia hanno scoperto incidentalmente che era meglio immagazzinare le parole come immagini piuttosto che come suoni. Ora, le immagini memorizzate si trovano per la maggior parte di noi in alto a sinistra. Se la parola è stata immagazzinata nel posto giusto, la si ritrova facilmente al momento opportuno.
Ora, un medico francese, Francis LEFEBURE, aveva già apportato delle soluzioni assolutamente originali al problema dell’apprendimento, e in particolare a quello della disortografia. Nel 1963 pubblicava «Il Mixaggio Fosfenico in Pedagogia», un’opera che dimostra l’incidenza della luce sui processi mentali. Fissando piuttosto brevemente una sorgente luminosa, si ottiene un fosfene, cioè una sensazione luminosa che persiste per più minuti.

L’apprendimento effettuato in presenza di tale fosfene guadagna in efficacia. In effetti, il fosfene canalizza l’attenzione sul soggetto studiato, mentre favorisce le associazioni di idee. In più, stimola tutti i tipi di memoria. L’ortografia è la traduzione visiva di un suono. Per la scrittura, la parola assume una dimensione cinestetica. La presenza del fosfene stimola questi tre canali sensoriali.

ESERCIZIO: MEMORIZZARE L’ORTOGRAFIA DI UNA PAROLA
Osservate la parola di cui volete memorizzare l’ortografia.
Fate un fosfene fissando la lampada fosfenica per trenta secondi.
Chiudete gli occhi o indossate la mascherina oculare.
Proiettate la parola e il fosfene in alto a sinistra, per immagazzinarli nella memoria visiva.
Scrivete questa parola più volte sotto fosfene.