GESTIONE DELLE STRESS E FOSFENISMO

GESTIONE DELLO SFORZO E DELLA PREOCCUPAZIONE

Non si smette di parlare dello stress. La sua responsabilità nella genesi delle malattie non deve più essere dimostrata. E’ in qualche modo il male del secolo. Con questa analisi abbiamo in mente l’idea di presentare un metodo rivoluzionario della gestione dello stress, sviluppato dal Dottor Francis Lefebure, un medico e ricercatore francese. Le sue scoperte in fisiologia cerebrale gli hanno permesso di mettere a punto diverse tecniche e apparecchi particolarmente efficaci per la gestione dello stress. Dopo una discussione sui fondamentali fattori di sviluppo dello stress, passeremo in rivista le tecniche suscettibili di porvi rimedio.

Possiamo distinguere, a nostro avviso, tre livelli di stress:

– quello legato all’ambiente sociale
– quello legato all’ambiente culturale
– quello in relazione con ciò che si potrebbe chiamare l’ambiente cosmico.

1) LO STRESS DI SOPRAVVIVENZA

Messo a confronto con il suo ambiente naturale, l’animale deve in permanenza spendere dell’energia, mobilizzare tutte le sue risorse per assicurarsi la sopravvivenza: ricerca del cibo, lotta contro i predatori…
Il linea generale, i mammifero è dotato di due meccanismi di adattamento allo stress di sopravvivenza; il primo gli consente di eccitare tutti i suoi mezzi difensivi per far fronte nel migliore dei modi all’aggressione o per adattarsi in modo adeguato ai problemi posti dall’ambiente; il secondo gli permette al contrario, in caso di «crash», di abbandonarsi alla morte senza soffrire.

a) i meccanismi di adattamento all’ambiente: lo stress di sopravvivenza e la mobilizzazione delle energie vitali.

Ciascuno può sperimentare le reazioni riflesse che si producono nell’organismo quando sopraggiunge un’emozione o uno choc, come ad esempio, quando si è al volante e spunta improvvisamente un pedone che attraversa la strada, che vi obbliga a frenare disastrosamente: battiti del cuore accelerati, tremore nervoso.
Queste reazioni hanno una loro ragion d’essere sul piano fisiologico: confrontato con un pericolo, l’organismo mette in gioco dei riflessi che permettono di adattarsi a questa nuova situazione; le ghiandole endocrine cominciano a secernere degli ormoni che preparano l’organismo a reagire d’urgenza:

– Sistema cardio-vascolare

* Il flusso sanguigno del cervello aumenta affinché l’individuo possa pensare e reagire più in fretta.
* Per contro la circolazione sanguigna cutanea diminuisce (sensazione di freddo) in modo che un’eventuale ferita non comporti che un sanguinamento minimo.
* La tensione aumenta per aumentare la circolazione: migliore ossigenazione, eliminazione dell’acido lattico…
* Nello stesso modo, il ritmo respiratorio accelera per aumentare il tenore di ossigeno del sangue.

– Sistema sensoriale

* Il senso dell’udito diventa più ricettivo (gli animali raddrizzano le orecchie).
* Le pupille si dilatano e la retina diventa più sensibile alla luce.

– Sistema digestivo

* La mucosa gastrica secerne dell’acido per trasformare il cibo in energia il più rapidamente possibile. Inoltre, su un piano più aneddotico, i capelli si drizzano sulla testa per sembrare più grandi in modo da impressionare l’avversario.

Il linea generale lo stress vitale ha quindi un effetto dinamico sull’organismo, tanto che le persone affaticate possono avere interesse a trovarsi in una situazione di stress.

Esso equivale ad uno stimolante, permettendo di essere più efficaci, di mantenere l’attività su un livello alto: l’equivalente di una tazza di caffè, se vogliamo. Tuttavia, come ogni stimolante, lo stress ha degli effetti collaterali che non sono trascurabili: ulcera dello stomaco dovuta ad una iper-secrezione gastrica, esaurimento nervoso.

b) Lo stress Letale

Quando l’animale è attaccato da un predatore, arriva un momento in cui abbandona qualunque difesa. Si mette in uno stato prossimo all’ipnosi che gli permette di non soffrire.

Così, lo stato di trance generato dallo stress produce una condizione di anestesia, di fuoriuscita dell’energia dal corpo, il che fa sì che, in certi casi, si ricerchi lo stress per ottenere degli stati assolutamente paradossali (su queste questioni, cfr. DOUNARS – «La trance, tecnica di espansione»).
Oggi lo «struggle for life» – concorrenza commerciale esacerbata, lotta per un posto di lavoro – costituisce una trasposizione dello stress di sopravvivenza, anche se molto spesso vi è mescolata una forma di stress sociale.

2) LO STRESS SOCIALE

Poiché l’uomo è un animale sociale, trova un conforto nella vita comunitaria.
Questa sicurezza può accompagnarsi ad una nuova forma di stress.
Prima di tutto la sensazione di appartenenza ad un gruppo è più o meno forte a seconda delle culture. Il timore di essere esclusi può costituire in certi casi uno stress considerevole.

Nell’Antichità, una delle maggiori pene, appena inferiore alla pena di morte nella scala penale, era l’esilio. L’essere messi al bando era, ancora nel Medio Evo, una sanzione giudiziaria severa.

Nell’epoca moderna, se si escludono i lavori forzati che non erano solo una pena di detenzione ma anche una misura di esclusione e di allontanamento, è esistito per molto tempo quello che si chiamava in modo molto significativo, il confino, pena di prigionia prolungata riservata ai pluri-recidivi.

Conosciamo ancora oggi la privazione dei diritti civili che costituisce in qualche modo un esilio dell’interiore (privato del diritto di voto, l’individuo è in qualche sorta privato della sua identità di cittadino).

Tuttavia esiste nell’epoca moderna una forma di esclusione perniciosa e tutto sommato abbastanza paradossale che si chiama disoccupazione.

Preso economicamente in carico dalla collettività, oggetto della sollecitudine generale, argomento di tutti i discorsi elettorali, il disoccupato ha ciononostante la tendenza a considerarsi escluso; vive spesso questa situazione come uno stress sociale violento. Ha la sensazione di non fare più parte della comunità nella quale vive.
Il fatto è che, in una società retta dal principio del profitto e dal culto della produttività, non partecipare attivamente alla grande celebrazione della produttività, della crescita, del progresso, è percepito come una vera esclusione (per quanto non da tutti i disoccupati, di cui alcuni sembrano adattarsi benissimo a questo status…).

Situazione paradossale, diciamo noi, perché il disoccupato in definitiva non è realmente escluso dai circuiti economici, visto che la comunità gli procura dei sussidi che gli permettono non soltanto di mangiare, ma anche di disporre, in generale, di liquidità che gli consentono bene o male di integrarsi nella società del consumismo, di acquistare e di vendere.

Il disoccupato non è preso in carico istituzionalmente come un indigente, né è rigettato dal gruppo.
Si potrebbe d’altra parte credere che sia più interessante essere mantenuti senza lavorare, ed effettivamente un certo numero di individui sono molto soddisfatti di questo stato di cose, ma per altri l’essere esclusi dal circuito della produzione è vissuto come un autentico dramma.

Per quanto variabile a seconda dell’evoluzione dei cicli di crescita economica, lo stress da esclusione sociale è quindi sempre di attualità e presuppone un approccio specifico per quanto riguarda eventuali metodi di trattamento.
Tuttavia, il principale stress sociale rimane senza dubbio quello legato all’istituzione dei legami gerarchici in seno al gruppo.
Secondo Henri LABORIT le frustrazioni legate alla relazione dominante-dominato genererebbero la produzione di sostanze chimiche specifiche che costituirebbero uno dei fattori condizionanti dei nostri comportamenti sociali.

La vita sociale, in cambio della sicurezza apportata dal gruppo (e dei servizi che esso offre), richiede una sottomissione dell’individuo all’ordine stabilito. Non esistono gruppi senza gerarchia.

I riti sociali, i legami gerarchici, organizzano strettamente le funzioni di ciascuno, limitano le libertà individuali e imbrigliano fortemente il gioco degli istinti.

Il cibo e la procreazione in particolare sono strettamente regolamentati.

Contrariamente a quanto si è creduto per molto tempo, i legami gerarchici non sono tutti il prodotto di rapporti di forza.
Anche l’età, l’esperienza, l’amabilità possono essere dei criteri – lo si osserva in particolare nelle scimmie – di selezione degli individui dominanti.
Comunque sia, derivano dall’instaurazione di queste relazioni gerarchiche due tipi di stress:
• uno stress dinamizzante (cfr. lo stress di sopravvivenza studiato sopra) che spinge il giovane maschio a provocare il vecchio dominante per prendere il suo posto.
• uno stress debilitante per chi, rassegnato, subisce il suo destino senza poter reagire.

3) LO STRESS METAFISICO

L’uomo, così come deve trovare il suo posto nella società, la gerarchia del gruppo, ha anche bisogno di collocarsi nel tempo e nello spazio davanti all’infinito che lo circonda.

Il quadro religioso o filosofico è il parallelo del quadro sociale.

A meno che non si identifichi come l’agente di un processo cosmico, come l’elemento di un tutto organizzato, l’uomo si trova disorientato e soffre di un sentimento di isolamento e di abbandono paragonabile a quello di chi è messo al bando.

Religione e gerarchia sociale hanno d’altra parte, in larga misura, un fondamento similare, la cosmologia non essendo altro che, in qualche modo, un’estensione del gruppo sociale, dove il dio diventa psicologicamente il sostituto del re e viceversa.

L’uomo moderno è, in questi due ambiti, alla ricerca del suo giusto posto.
A questo proposito, bisogna distinguere bene ciò che separa l’occidente e l’oriente o, se si preferisce, le società moderne e le società tradizionali.
L’occidente ha adottato e, nel corso del tempo, ha più o meno adattato, la concezione cristiana della storia: il Cristianesimo, segnato dalla visione apocalittica degli ebrei dell’epoca delle origini, vive nell’attesa di un avvenimento a venire: il ritorno del messia, la fine della storia…

Questa attesa profetica è oggi più che dimenticata, ma ha abitato le menti per un tempo sufficientemente lungo da condizionare la concezione del mondo dei suoi teologi e dei suoi filosofi (Jean SERVIER: Storia dell’utopia).

L’occidentale, per questo fatto, è sempre alla ricerca di qualche cosa, nell’attesa di un futuro più o meno radioso.

Le utopie che si sono sviluppate quando lo spirito religioso si è affievolito hanno sostituito all’escatologia cristiana la fede nell’avvento di una società senza classi, o la speranza di una felicità generalizzata dal progresso tecnico, accontentandosi di adattare più o meno la visione cristiana di una storia protesa verso un futuro idilliaco.

L’uomo moderno è quindi un eterno insoddisfatto, sempre alla ricerca di un illusorio progresso, che sia a livello individuale (comfort, salute, ricchezza) o a livello sociale (progressi scientifici, crescita economica, risoluzione dei conflitti…).
Si è in permanenza nella situazione del giovane maschio che vorrebbe prendere il posto del dominante senza riuscirci.

Senza esprimere dei giudizi su questo o su quel modo di pensare, bisogna riconoscere che la concezione lineare della storia, ereditata dal pensiero ebraico dei primi secoli della nostra era, è storicamente legata alla situazione politica di un popolo oppresso che sperava una liberazione politica, a poco a poco immaginata su un piano mitico, situazione ansiogena di per sé.

In fondo, le nostre società sono sempre e ancora animate da millenaristi infervorati che aspettano senza tregua l’avvento di un’ipotetica rinascita.

Angoscia per la comparsa o per la non comparsa di questo avvenimento, senso di colpa perché esso non arriva, agitazione incessante in vista di operare la trasformazione voluta dalla storia, o di favorire l’avvento di questo nuova società tanto attesa.

Questa tensione verso un ipotetico avvenire dà un senso all’esistenza, ma nello stesso tempo sviluppa un’angoscia di un tipo particolare.

Questo concetto del mondo sviluppa il dinamismo e l’attività – fino alla concitazione – ma si accompagna anche con ansia e sensi di colpa: arriverà questo momento? Quando? Ho fatto tutto perché arrivi?
Si dice che i popoli felici non hanno storia. In tutti i casi è probabile che il fatto che il Cristianesimo si sia sviluppato in un’epoca di oppressione, di rivolta soffocata nel sangue, sia certamente una delle cause che spingono i Cristiani ad investire tutta la loro vita nell’ipotesi di un futuro radioso, più o meno situato altrove, su un altro piano dell’esistenza.

Perché questo modo di sacrificare il presente per un futuro incerto è relativamente originale, in rottura con la maggior parte delle concezioni tradizionali.

Lo studio comparato delle religioni mostra in effetti che i popoli dell’Antichità e le società non occidentali hanno generalmente una concezione ciclica del tempo, totalmente estranea alla nozione di progresso, di tensione verso un ideale.

Certo, le società moderne segnate da una concezione lineare del tempo possiedono ciascuna una visione del mondo molto diversa, ma resta il fatto che questa propensione all’utopia costituisce un condizionamento psicologico essenziale in tutte le società che si collocano in questo ambiente culturale.

In effetti, nel momento in cui la storia non è altro che un eterno re-inizio, diventa illusorio angosciarsi a proposito degli obiettivi da raggiungere. Non si tratta neanche di sapere se l’uomo sia libero o no, se il suo destino sia determinato o no, poiché ad ogni modo il suo destino non è suscettibile di influenzare il divenire della creazione, la quale riproduce all’infinito gli stessi cicli.

Ciò non significa che sgombrare in questo modo ogni teologia sarebbe il modo migliore per eliminare l’angoscia.

Le attitudini possibili sono in effetti le seguenti:

– o si accetta questo stato di cose e si decide di vivere momento per momento, in armonia con la natura (il che presuppone uno sforzo costante, un’autentica ascesi: l’epicureismo è una dottrina esigente sul piano del comportamento e dell’etica).
– o si considera l’assurdità della situazione e si è condotti sia alla disperazione esistenziale e al suicidio, sia ad uno sforzo mentale, ad una tensione di tutto l’essere per sfuggire al condizionamento dell’esistenza attraverso l’ascesi.

E’ il rifiuto del mondo delle forme, è l’assorbimento di tutto l’essere (o almeno della coscienza) nel non-essere.

Più concretamente, un tale approccio si traduce nel rifiuto della procreazione, nell’isolamento sociale, nella meditazione pura (sul vuoto).
Sul piano metafisico, lo scopo è sfuggire ai cicli delle reincarnazioni.

Questa specie di sintesi delle ideologie che abbiamo appena fatto è certamente troppo schematica, ma il nostro obiettivo è ricercare un metodo pratico di gestione dello stress e non filosofeggiare.

Il riassunto che precede, per quanto caricaturale possa sembrare, ci pare tuttavia utile per identificare le diverse forme di angoscia suscettibili di svilupparsi secondo la cultura nella quale si evolve e secondo la concezione del cosmo che si adottata o che si è ereditata, più o meno consapevolmente.

Da un lato, di conseguenza, un’umanità a cui sarebbe assegnato un destino in via di realizzazione, dall’altro una creazione finita, perfetta, ma nella quale, proprio per questo, l’uomo non avrebbe un ruolo autenticamente attivo da giocare.

Dal punto di vista ansiogenico – perdonatemi questo spaventoso neologismo – una storia in divenire, nella quale l’uomo gioca un ruolo centrale e della quale l’evoluzione dell’umanità sarebbe in qualche modo la finalità (il mondo sarebbe stato creato solo per permettere all’umanità di compiere il suo destino), è generatrice di un’angoscia legata all’errore o al fallimento. Essa conduce a sovraffaticamento e a iper-eccitazione: non si farà mai abbastanza per riuscire…

Una storia ciclica, che si ripiega incessantemente su se stessa, non impone agli individui le stesse responsabilità. L’uomo non è più il centro del mondo. Non è che un attore in mezzo ad altri, e gli basta tenersi al suo posto per compiere il suo destino, senza voler «rivoluzionare tutto».

La sensazione dell’assurdo può certamente invadere uno spirito molto affinato, ma nell’insieme sembra proprio che le culture che hanno sviluppato questo modo di pensare abbiano un’attitudine relativamente serena di fronte alle contraddizioni del mondo.

Il suicidio è spesso considerato in esse come un atto di fierezza, una manifestazione di stile piuttosto che come un atto di disperazione. La vita ha un prezzo minore, ma nello stesso tempo e, per così dire, per via delle conseguenze, gettare la propria vita può essere un peccato su un piano estetico, ma non disturba affatto la marcia del mondo.

Fino a prova contraria, abbiamo quindi la tendenza a considerare che il mondo moderno sia di tipo escatologico e, di conseguenza, intrinsecamente ansiogeno.

4) LE TECNICHE DI GESTIONE DELLO STRESS

Queste tecniche sono basate sull’utilizzo sistematico dei fosfeni. I fosfeni sono tutte le sensazioni luminose soggettive, cioè quelle che non sono direttamente causate dalla luce che stimola la retina. Corrispondono a ciò che gli oftalmologi chiamano immagini di persistenza retinica o post-immagini. Possono essere prodotti da brevi fissazioni di sorgenti luminose.

a) Il rilassamento

La semplice produzione di un fosfene è già rilassante, i pescatori a lenza ne sono un buon esempio. In effetti, trascorrono parecchie ore a seguire con gli occhi il tappo di sughero, e quindi a fare dei fosfeni grazie al riflesso del sole o del cielo luminoso sull’acqua. Numerosi pescatori indicano che questa attività apporta loro un rilassamento che non riescono a trovare altrove.

Si sa sin dal 1950 che la luce ha una potente azione sulla produzione ormonale. Ai nostri giorni alcuni medici utilizzano l’azione strutturante della luce sul sistema nervoso per curare i depressi cronici. In più la luce, ma soprattutto l’utilizzo dei fosfeni, ha un’azione molto forte sulla nostra produzione di melatonina.
Ma perché limitarsi al semplice utilizzo foto-terapeutico della luce quando si può beneficiare di un sacco di altri effetti positivi.

In effetti, il Mixaggio Fosfenico (esercizio che consiste nel mescolare un pensiero al fosfene) è un potente stimolante dell’attività intellettuale.
La pratica regolare del Mixaggio Fosfenico migliora l’attenzione, la concentrazione, la memoria, così come lo spirito di iniziativa e la creatività.

b) L’audizione alternata

Principio basato sull’audizione di un suono a turno nell’orecchio destro e nell’orecchio sinistro, l’audizione alternata equilibra gli scambi tra gli emisferi cerebrali. Uno degli effetti principali sulla personalità è di centrare l’individuo. Una persona centrata è meno sensibile allo stress e controlla meglio le proprie emozioni. Così, la pratica dell’Alternofono aiuta a non subire più le situazioni della vita corrente.

c) Il dondolamento laterale della testa

Gli effetti di questo esercizio sono simili a quelli dell’Alternofono. In effetti è un modo diverso per raggiungere lo stesso risultato.

d) L’amaca

Terza variante dello stesso principio, l’esercizio dell’amaca permette di regolare l’alternanza cerebrale in modo semplice e ludico.
L’esercizio può essere praticato nel modo seguente:

Fate un fosfene
Sdraiati in un’amaca, datevi un buon impulso per dondolarvi. Meglio ancora, chiedete ad un’altra persona di darvi questo impulso.
Focalizzate la vostra attenzione sulla sensazione di dondolamento.
Potete visualizzare delle correnti di energia che attraversano il vostro corpo ad ogni dondolamento.
Continuate a concentrarvi in questo modo fino a quando i dondolamenti non diventano molto piccoli.
Sarete sorpresi dalla sensazione che vi daranno questi piccoli dondolamenti.
Quando lo ritenete necessario, ridatevi un nuovo impulso e riprendete l’esercizio dall’inizio.
Potete anche rifare un fosfene ogni cinque minuti circa.
Questo genere di esercizio può anche essere praticato su una sedia a dondolo ma, in questo caso, viene prodotto un dondolamento antero-posteriore. I suoi effetti, anche se simili a quelli del dondolamento laterale all’80%, differiscono leggermente. Il dondolamento antero-posteriore crea delle connessioni diverse che hanno la tendenza a trasformare la fantasticheria in azione concreta. La sua pratica è più adatta ad una seduta di esercizi del mattino.